Con la firma della legge 1395 del 1923 e il successivo regolamento del 1925 le professioni di ingegnere e architetto - dopo quella di avvocato nel 1874 e quella di medico nel 1910 – furono regolamentate e riconosciute loro la pubblica utilità e il valore sociale. L’iniziale e chiara struttura ordinistica, che interpretava gli antichi principi dei movimenti corporativi artigiani, monastici e cavallereschi, è arrivata oggi a essere una macchina complessa, tanto autorevole quanto a volte fragile, aggiornandosi in particolare negli ultimi trent’anni dove registriamo un acuire legislativo che conferma come il sistema, sebbene determini in autonomia le proprie regole, sia lo specchio della nostra società e stia con essa cambiando velocemente, estendendo gli ambiti operativi e acquisendo nuovi ruoli e compiti da svolgere.

Tra luci e ombre ricordiamo alcuni passaggi determinanti di questo cambiamento, quali il DPR 328/2001 con la riforma delle lauree specialistiche, la legge 248 /2006 - ovvero il Decreto Bersani  - che ha abolito i minimi tariffari, il DL137/2012 con l’istituzione dell’Albo Unico Nazionale e dei Consigli di Disciplina, e l’introduzione, a partire dal 2014 della formazione continua permanente.

Tappe di un percorso articolato, per lo più in salita, che ci porta oggi a decifrare le regole del nuovo Codice Contratti, a misurarci con la nuova norma sull’equo compenso, ad attendere ancora la Legge sull’Architettura, ma soprattutto a confrontarci con le opportunità legate all’Europa, al New European Bauhaus e al Green Deal, le cui direttive - a partire dalla 2005/36/CE - vedono nell’architetto un ruolo centrale e di grande responsabilità nel presente e nell’immediato futuro.            

Essere iscritti a un Ordine deve ricordare il ruolo che abbiamo nella società, ovvero quello di essere il ponte tra la dimensione tecnica e quella umanistica e, soprattutto, di essere gli interpreti della volontà politica, attraverso quello strumento per molti magico ma per noi quotidiano del “progetto”, per renderla realtà. Un’attività che, al di là di isolati monumenti contemporanei, è un’occasione di trasformazione capillare e ordinaria del territorio e che possiede un altissimo valore educativo.

A cent’anni di distanza, piuttosto che una celebrazione autoreferenziale del passato, è necessaria una riflessione sulla stagione che stiamo affrontando per capire la direzione che vogliamo prendere. Viviamo, oggi più che mai, in una sorta di crisi permanente, dove la programmazione avviene spesso a valle di situazioni emergenziali e dove la tutela dell’ambiente, così come recentemente inserito negli articoli 9 e 41 della Costituzione, e la sua fragilità sono tra le poche certezze con cui dovremmo confrontarci nei prossimi anni.

Per ritrovare gli architetti quali referenti autorevoli all’interno della società è necessario un impegno collettivo. Dobbiamo acquisire un ruolo centrale nel dibattito culturale e nella costruzione delle norme, troppo spesso redatte senza un effettivo coinvolgimento dei tecnici, e contestualmente arricchire le nostre competenze e comprendere come, ad esempio, la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale siano strumenti utili per il nostro lavoro e come la partecipazione e programmazione dei processi siano elementi che danno qualità ai progetti.

Per un futuro che è già oggi, in cui è urgente riscattare il valore delle nostre attività che, sebbene siano spesso confuse e ridotte a semplici servizi o lavori da mercificare, hanno una profonda radice intellettuale.

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Riccardo Miselli
Presidente Ordine Architetti PPC della Provincia di Genova

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