Da molto tempo, forse troppo, attendiamo che anche il nostro Paese si doti di una Legge per l’Architettura. Una attesa lunga in cui si sono sviluppati percorsi, non sempre coerenti, per raggiungere l’obiettivo e potere conseguire un risultato apprezzabile come è già avvenuto in molti Paesi europei.

Perché ancora oggi non si sia raggiunto il traguardo è tema ancora di riflessione. Tuttavia, hanno influito, da una parte, un processo progressivo di perdita dei valori culturali, dall’altra il prevalere di una visione negativa che poneva le Opere pubbliche legate esclusivamente al loro materiale di  realizzazione, indipendentemente dal loro essere luoghi emblematici in grado di esprimere forma e contenuto, tecnico e soprattutto culturale, e di rappresentare i valori di una comunità. Per cui si è costruito molto, ma con scarsa qualità.

Motivo centrale di ciò è quello di aver fatto prevalere la funzione economica dell’Opera pubblica mettendo in secondo piano, e spesso escludendo, il significato profondo della qualità dell’opera medesima e, quindi, il suo dover essere prima di tutto architettura.

Si sono prodotti, in grande quantità, “non luoghi” che hanno sopraffatto la coscienza civile costringendo ciascun cittadino a vivere in luoghi ostili ed in assenza di qualità.

Da qui ne discende che per decenni ogni tentativo di mettere a posto le cose non ha sortito effetti di rilievo, si sono accumulati ritardi a tutto vantaggio della sempre più squalificata azione di trasformazione delle città e del territorio, ed i risultati di questo modo di procedere sono sotto gli occhi di tutti.

L’Architettura e la sua qualità sono un diritto del cittadino in quanto rientrano nel novero di bene comune che, in quanto tale, ha come scopo quello di determinare effetti positivi nella vita quotidiana di ciascun individuo, nel welfare urbano, e di produrre nuove e più significative dinamiche evolutive nel corpo della società.

Se le cose stanno così, l’Architettura, quindi, nelle sue diverse espressioni, si configura quale pratica di rilevante e preminente interesse pubblico: da questo elementare principio bisogna prendere le mosse per una svolta culturale di cui c’è un assoluto bisogno.

Sulla base di queste brevi considerazioni il CNAPPC ha avviato fin da subito una azione incessante verso i possibili interlocutori, politici ed istituzionali, perché si riprendesse il cammino, più volte interrotto, e si scrivessero a chiare lettere i principi fondamentali che devono guidare la trasformazione dell’ambiente costruito e segnare una svolta culturale assegnando all’Architettura la centralità che merita.

Dallo scorso settembre lavoriamo a fianco, con il massimo spirito collaborativo, del Ministero della Cultura che ha dimostrato fin da subito un grande impegno per  superare i ritardi accumulati e  lavorare per dare vita ad una Legge quadro dell’Architettura. Il Ministro Franceschini ha ribadito in più occasioni questa volontà e di questo gli siamo riconoscenti.

Si è chiusa la prima fase di confronto sui possibili contenuti ed adesso si avvierà una seconda fase per dare forma giuridica ai tanti concetti che sono stati congiuntamente elaborati. Riteniamo che il lavoro fin qui prodotto dovrà essere sottoposto al gruppo di lavoro che a breve sarà costituito per apportare un ulteriore arricchimento dei capisaldi della proposta di legge. Sarà infine necessario proseguire con il coinvolgimento dell’insieme della società, del mondo della cultura, dell’arte e dell’architettura, ma anche di ogni ambito sociale interessato a dare impulso in direzione della crescita culturale del nostro Paese.

Raggiungere l’obiettivo deve essere l’impegno prioritario dell’intera comunità degli Architetti italiani.

Francesco Miceli, Presidente

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