linkiesta.it
26 agosto 2016
Fabrizio Patti
Undicimila euro a comune. Provateci voi a mettere in sicurezza un paese con quella cifra. Di questo stiamo parlando: i fondi stanziati per la prevenzione del terremoto sono pochi. Di più: irrisori, rispetto alle esigenze di messa in sicurezza di migliaia di borghi e città. Questo è uno dei punti da cui bisognerà ripartire, una volta superata la primissima emergenza, per la quale il Cdm di giovedì sera ha stanziato i primi 50 milioni di euro, oltre al blocco delle tasse nei comuni coinvolti. Ma non è l’unico. Ci sarà anche da valutare come velocizzare una procedura di assegnazione dei fondi che i tecnici giudicano farraginosa, perché parte dal governo centrale, passa dalle regioni e poi dai bandi dei comuni, in un dedalo di burocrazia che finisce per scoraggiare chi intende partecipare. E ci sarà da fare i conti con un’Unione europea che considera le spese per le emergenze fuori dai vincoli di bilancio e quelle per la prevenzione dentro gli stessi vincoli. In serata Matteo Renzi ha dato una prima risposta, anticipando un piano chiamato Casa Italia, che dovrebbe prevedere sconti fiscali per le case private e la messa in sicurezza degli edifici pubblici.
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Europa non pervenuta
Se i finanziamenti nazionali sono pochi, quelli europei sono ancora meno. Di fatto, non c’è una voce specifica, nei fondi Por-Creo-Fesr, destinata al rischio sismico. ««C’è qualche piccolo fondo di tipo europeo. Sono soldi legati ai bandi del Por-Creo-Fesr 2014-2020, e sono indirizzati per altri interventi. Nelle maglie di questi bandi ci può rientrare qualcosa legata alla prevenzione, legata a scuole ed edifici pubblici», dice Walter Baricchi, consigliere del Consiglio nazionale degli architetti, nel quale è coordinatore Dipartimento Cooperazione, Solidarietà e Protezione Civile. «Ma non c’è un programma specifico e soprattutto manca una programmazione. Si va avanti a piccoli step».
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Regioni, l’anello debole
A sentire i tecnici, gli anelli deboli sono diversi. L’architetto Walter Baricchi li individua in primo luogo nelle regioni. «Il meccanismo si inceppa ovunque, soprattutto a livello delle regioni - commenta - . Io vedo il calvario della ricostruzione anche qui in Emilia. È veramente una cosa demenziale: è tutta una cavillatura, una procedura complessa, una burocrazia allucinante». «È chiaro - aggiunge - che le regole ci devono essere e i controlli devono essere fatti. Ma serve una radicale deburocratizzazione. Tutte le volte che esce un provvedimento di semplificazione, in realtà è un’aggiunta di complicazione che si somma a quelle esistenti. Dobbiamo partire da una considerazione per uscirne: i progettisti sono tenuti a prendersi le responsabilità nel momento in cui firmano un progetto. Se sbagliano pagano». Per il consigliere del Consiglio nazionale degli architetti, le regioni hanno anche il difetto di non avere una interazione sufficiente con i professionisti, anche se esistono i tavoli tecnici.
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