Corriere della Sera
19 aprile 2015
Paolo Conti

 

«Necessario vincere/più necessario combattere». Gli spettatori che ogni sera a due passi da Porta Portese escono dal Nuovo Sacher, la raffinatissima sala cinematografica romana gestita da Nanni Moretti, si imbattono nello slogan mussoliniano che campeggia sulla facciata del capolavoro del razionalismo italiano firmato nel 1933 da un altro Moretti, l’architetto e urbanista Luigi. Era la Casa della Gioventù Italiana del Littorio, da poco sottoposta a un attento restauro. Poi basta spostarsi di qualche chilometro per approdare all’Eur e scrutare il palazzo della Civiltà Italiana di Giovanni Guerrini, Ernesto Bruno Lapadula e Mario Romano, più celebre come il «Colosseo quadrato». Sul frontone si legge: «Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori». Un passaggio chiave del discorso di Mussolini del 2 ottobre 1935, la proclamazione della guerra all’Etiopia. 

Girare per tante strade di Roma e di altre città significa imbattersi continuamente in icone architettoniche del fascismo, in slogan mussoliniani, in ritratti del duce. Basta una manciata di esempi. Il monumento alla Vittoria a Bolzano, un tripudio di fasci. La stessa stazione di santa Maria Novella a Firenze del Gruppo Toscano guidato da Giovanni Michelucci, amata da Mussolini perché Margherita Sarfatti lo convinse che, dall’aereo, il complesso sembrava un fascio. Per non parlare del clamoroso caso del «Palazzo M» di Latina, già Littoria. 

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