la Repubblica
13 gennaio 2015
Fabio Alfano

 

 

La quattordicesima Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, chiusa un mese fa, induce a importanti riflessioni per le città siciliane. A partire dal titolo generale “Fundamentals” che impone di andare all’origine delle cose e, in questo caso, dell’architettura e del ruolo che svolge nella nostra società. Dalle principali esposizioni — “Monditalia”, “Elements”, “Absorbing Modernism”, “Innesti” — sono scaturite domande cruciali: qual è lo stato del nostro territorio, che abbiamo fatto dell’architettura, quali nuovi spazi e linguaggi occorrono oggi, cosa facciamo di tutto ciò che abbiamo mal costruito, soprattutto in situazioni di estremo disastro urbanistico (come quello delle città meridionali)?

”Monditalia” è stata una mostra indagine sullo stato attuale del territorio italiano, preso dall’autorevole curatore, l’architetto olandese Rem Koolhaas, come esempio mondiale di anomalo utilizzo del territorio, realizzata non attraverso gli architetti e le loro architetture, certamente non rappresentativi del reale stato delle cose, ma attraverso 41 casi-studio prevalentemente di malcostume. Per esempio, i pessimi interventi di ri-costruzione legati al terremoto dell’Aquila, il mai utilizzato edificio nell’isola della Maddalena realizzato per ospitare il G8 del 2009 e, per quanto riguarda il Meridione, la complessa storia del porto di Gioia Tauro e l’inaspettato utilizzo dell’isola di Lampedusa. 

(...)

Le città sono città perché, oltre che raggruppamenti di persone, sono aggregati di spazi, edifici, strade, piazze, giardini, che hanno bisogno di qualità. Com’è possibile che le amministrazioni, a tutti i livelli, non fondino la propria attività su scelte di qualità architettonica, concorsi progettuali, premi, incentivi?

 

 

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