Quando: 14 Maggio 2025 19:00

“Q.B”, quanto basta, è la stringata formula della sapienza popolare in cucina: quella che indica la quantità di sale, pepe, olio, farina da utilizzare nella ricetta, quando l’intelligenza algoritmica della bilancia appare superata dalla pratica quotidiana.
 
In architettura – ma forse nella vita- è la versione italiana (il latino “quantum satis”) del più not “less is more”, o meglio del miesiano “beinahe nichts”: quasi nulla.
 
Una regola che sembra desueta nell’epoca della visibilità totale, dove la trasparenza apparente è il veicolo di un’esposizione permanente.
 
E' la regola messa in pratica ormai da anni da Marco Ermentini, inventore della “Timidina” e sostenitore del “restauro timido”: quello che non cancella le tracce del tempo e della storia, che sussurra invece di gridare, che rifuggi dall’autografia esasperata per proporsi quasi come “naturale”.
 
E’ la rivincita della saggezza del fare contro i rifacimenti invasivi dell’architettura di oggi, contro l’ideologia
dell ‘ex.novo in favore del rispetto per l’esistente.
 
La “Shy Architecture” di Ermentini dimostra che tutto questo è possibile, che mettere un freno alle proprie
ambizioni di stile è non solo giusto, ma necessario. E’ una filosofia di vita, che dalla cucina arriva direttamente alla persona: non a caso Renzo Piano l’ha scelto come Tutor del gruppo di lavoro G124 sulle periferie, promosso dal Senato della Repubblica. 
Una rivoluzione, ma gentile, che parte da una domanda mai posta dagli architetti: “se l’edificio parla o scrive, cosa pensa di noi? I monumenti possono contestare le decisioni umane?”
Rispondere a questa domanda, come suggerisce Ermentini, significa comprendere che nulla è isolato, che
siamo parte di una repubblica dei viventi cui appartengono gli alberi, le piante, i fiori, gli animali,ogni forma di vita, insomma, ma anche le pietre, i mattoni, gli intonaci…
Comprenderemmo allora che anche i materiali ci parlano, alla maniera in cui Kahn sosteneva di chiedere a ogni suo progetto: “cosa vuoi essere”?. Ci parlano della necessità di non sprecare, di conservare e riusare, di non inquinare (anche esteticamente) il mondo sovrapponendogli una patina di cose inutili e sbagliate.
Insomma di ridimensionare il nostro ego in favore di una visione più ampia dell’ambiente. 
Una lezione che è una chiamata alle armi della gentilezza, della leggerezza, della fragilità: chi si sente attratto da questa prospettiva è ben accetto. Ma anche chi la dovesse ritenere un ennesima forma di utopia, sarà sfidato a ricredersi: basta avere coraggio.
 
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