Il Sole 24Ore 
23 ottobre 2016
Elena Comelli

 

Dopo Parigi, Quito. Nella capitale più alta del mondo, 193 governi hanno firmato questa settimana la Nuova Agenda Urbana, che delinea le strategie globali di urbanizzazione per i prossimi vent’anni, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Il documento, approvato nella conferenza Habitat III dopo mesi di negoziati delinea una visione ambiziosa di città compatte, sviluppate lungo assi di trasporto pubblico sostenibile e umanizzate da una crescita policentrica, che cerca d’indirizzare il processo d’inurbamento lungo linee nuove, per evitare il sovraffollamento selvaggio delle megalopoli. Fra i punti centrali della Nuova Agenda Urbana c’è il cosiddetto diritto alla città - «Le città sono per la gente, non per il profitto» -, un principio concepito per spingere i governi locali a una pianificazione che privilegi il pubblico sul privato.

(...) La Nuova Agenda Urbana, però, ci dice molto sul cosa e poco o niente sul come. Diversamente dall’Accordo sul clima di Parigi, non si danno indicazioni pratiche sull’applicazione dei principi espressi, sul finanziamento dei progetti e sul monitoraggio dei progressi, né tantomeno su chi li debba misurare e sulle eventuali sanzioni per chi manca gli obiettivi. È chiaro a tutti, invece, che c’è un gran bisogno d’informazione e di monitoraggio. Mancano adeguati sistemi per fornire dati scientifici sui risultati chiave e molte nazioni hanno bisogno di pianificatori urbani in grado di sostenere questi sforzi: secondo il World Cities Report 2016, nel Regno Unito ci sono 38 pianificatori per ogni 100mila abitanti, a fronte di 1,44 in Nigeria e solo 0,23 in India, due dei Paesi di più rapida urbanizzazione. Un esercito troppo sparuto per affrontare adeguatamente le grandi sfide globali.

 

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