la Repubblica
13 febbraio 2015
Raffaella De Santis

 

 

Dal Centre Pompidou a Parigi al progetto del campus della Columbia University a New York, l’architettura per Renzo Piano è un’arte sociale che non può ridursi all’esportazione pura e semplice di modelli formali. Un’arte civica che negli ultimi progetti dell’architetto sta guardando alle periferie come luoghi che caratterizzeranno la città del futuro. E non è un caso che molti dei cantieri recenti siano situati ai margini delle grandi metropoli. 

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Da un po’ di tempo sta dedicandosi alle periferie. È lì, ai margini delle grandi città, che vede il futuro dell’architettura?

«Quello delle periferie è sicuramente il tema del futuro. Sono convinto che Parigi si salverà solo se saprà trasformare le sue banlieue. Naturalmente non si tratta di fare grandi opere ma di ricucire, assecondare le periferie. Nei prossimi quarant’anni bisognerà dedicarsi per forza a questo».

L’architettura con una missione sociale dunque non può che abbandonare i centri storici?

«Non possiamo dimenticare un dato: il 90 per cento delle persone abitano nelle periferie. È lì che si respira l’energia vitale della città».

 

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