Corriere della Sera 
2 novembre 2016
Dario Di Vico

 

Non si può certo dire che prima del sisma l’Italia di mezzo stesse vivendo dal punto di vista economico-produttivo uno dei suoi momenti migliori. Tutt’altro. La lenta e debole ripresa non ha dato ristoro all’ampio tessuto di piccole e medie imprese dell’area marchigiana e umbra, il ristagno dell’intera filiera del mattone non ha consentito di ripartire alle centinaia di aziende locali che vivono sulle costruzioni e sul loro indotto, il turismo non è riuscito in questi anni a decollare veramente per le tante lacune del sistema dei trasporti e per l’incapacità di promozione sul versante dell’offerta. Per tutti questi motivi lo spopolamento che hanno subito i territori appenninici è stato selettivo: ad andarsene sono stati prevalentemente i giovani e comunque le competenze qualificate, a restare gli anziani. Le stesse crisi che hanno investito il settore bancario non possono essere spiegate solo con episodi di mala gestio — che pure si sono verificati — ma chiamano in causa l’economia reale sottostante, le difficoltà delle Pmi di rimettersi in carreggiata. (...)

La seconda novità riguarda la cultura imprenditoriale chiamata a innovarsi in tempi rapidi sia nelle formule societarie (le aggregazioni e le reti) sia nel rapporto con le università del territorio e i centri di ricerca. Infine ci vogliono scelte che puntino a stabilizzare il capitale umano, attirino in zona ingegneri e architetti, vedano protagonisti del rilancio i giovani più qualificati.

 

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