Corriere della Sera - Sette
10 marzo 2017
Francesca Pini

 

Una cremagliera-navicella, tutta vetri, porta dal mare ligure di Vesima sull’altura dov’è appollaiato lo studio di Renzo Piano, passando attraverso  palme e ulivi. C’è lo spiazzo dell’eliporto, molti clienti di Renzo Piano si spostano così e hanno fretta di veder finita l’opera dell’ingegno, partorita per loro dal famoso Pritzker Prize. Ma non sanno quanto “artigianale” in fondo lui sia. «In latino si dice festina lente, affrettati lentamente, questo è il motto che serve ad impiantare un cantiere. L’architettura ha la dimensione della rapidità dello schizzo ma anche quella della lentezza. Ci si deve aggirare sul posto, non pretendendo di capire tutto subito, guardare nel “buio” anche se c’è luce, ascoltare la gente, le pietre, rendersi conto di qual è il potenziale del luogo. Mi secca molto essere visto come un archistar, perché nei miei tre studi – Parigi, Genova, New York – lavoriamo con uno spirito di comunità, che permea tutti i nostri progetti. (...)

 

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