Corriere della Sera 
26 maggio 2016
Pierluigi Panza

 

La rassegna, che sarà aperta sabato dal capo del governo Matteo Renzi, è intitolata Reporting from the Front — dove il fronte non è quello espressivo, ma quello dei senza casa, degli esclusi, dei migranti… I suoi simboli sono due: l’ingresso all’Arsenale realizzato con il materiale di recupero della Biennale 2015 e il Padiglione della Germania intitolato Making Heimat. La Germania ha ottenuto dalla soprintendenza il nulla osta per abbattere alcune pareti del suo padiglione, costruito dall’architetto di Hitler, Albert Speer, nel 1938. L’abbattimento dei muri è una scoperta metafora: come la fine del Muro di Berlino nel 1989 diede avvio a una nuova stagione europea, così questo vuole dare simbolicamente una spinta alla costruzione di una Europa aperta, senza muri (al Brennero), senza frontiere.

Quanto ci sia di sincero impegno in questo presentare soluzioni per gli esclusi dalla consumer-society e quanto di retorica (Okwui Enzewor, curatore della Biennale 2015 in cui si leggeva ininterrottamente Karl Marx, era ospite di Prada nell’unico evento mondano) lo testimonieranno le future committenze degli 88 architetti (da 37 Paesi) coinvolti da Aravena nella sua mostra e degli altri che espongono nei padiglioni di 65 nazioni. Assente l’ultimo curatore, il guru Rem Koolhaas (che sta per aprire il suo rifacimento del Fondaco dei tedeschi di Venezia, trasformato in shopping mall), la presenza di David Chipperfield, Renzo Piano e altri maestri è sotto l’etichetta dello studio. Questa Biennale (i visitatori sono passati dai 70 mila della Biennale architettura del 2000 a 230 mila) rilancia infatti l’idea di architettura come lavoro collettivo messo a punto da studi con sigle astruse. Così Renzo Piano presenta il suo progetto G124 di architettura partecipata: sul tavolo del senatore c’è il progetto per «ricucire» la periferia milanese del Giambellino.

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Impegno e fantasia. Soluzioni inaspettate di fronte alla crisi

Corriere del Veneto 
26 maggio 2016
Fabio Bozzato

(...) Per questo non ha paura di invitare archi-star sulla cui grandeur si è consumata la stagione pre-crisi. Di Renzo Piano gli interessa il suo nuovo attivismo sulle periferie. Di Tadao Ando la capacità di sentire contemporanea una città come Venezia. Dello Studio Jean Nouvel l’incanto prodotto dai fasci di luce naturale che dal soffitto scendono come pilastri immateriali.

I padiglioni nazionali seguono Aravena su questo orizzonte. Gli spagnoli con il riuso di edifici dopo il crack edilizio, gli olandesi con l’architettura del peacekeeping, i venezuelani con i collettivi nei quartieri della miseria (in un padiglione di Carlo Scarpa che ha ripreso luce grazie alle cure di Javier Cerisola), i cinesi con l’architettura del quotidiano. Fino ai rumeni che montano una scenografia di marionette, esorcizzando l’architettura della paura del loro passato, come se quei burattini fossimo tutti noi nel mondo globale. (...)

 

Piano: «Marghera mon amour. Periferia piena di scintille di vita». L’architetto-senatore: «Il mio progetto G124, i ragazzi e l’Officina Riuso»

Corriere del Veneto 
26 maggio 2016
Martina Zambon

«Lo dice Italo Calvino nelle Città Invisibili: esistono luoghi felici, giusti. E Marghera lo è. Piena di scintille di vita». Renzo Piano plana sul microcosmo della Biennale Architettura con uno spazio dedicato alle periferie. Lui non è un habitué ma, dice, «è la Biennale giusta» quella firmata da Alejandro Aravena: «L’aria che si respira è cambiata, a Marghera come alla periferia di Chicago, New York, Parigi, luoghi in cui sto lavorando». Al senatore a vita e «architetto condotto» come si definisce per sottolineare la funzione sociale dell’architettura, le periferie piacciono parecchio. «C’è chi dice che sono ossessionato ma è passione. Sono figlio dell’impegno nato 40 anni fa e ora, finalmente la gente torna a mettere il naso fuori dalla porta di casa cercando spazi di condivisione. È ciò che stanno facendo i ragazzi a Marghera». (...)

 

Periferie e beni comuni al Padiglione Italia si riprogetta la realtà. “Taking care” a cura del gruppo della TamAssociati mette in mostra obiettivi raggiunti di riqualificazione da nord a sud

la Repubblica 
26 maggio 2016
Francesco Erbani

Quanti sono i fronti sui quali si misura l’architettura che contribuisce con i propri mezzi a ridurre le disuguaglianze, a mitigare sofferenze e disagi? Tanti, secondo Alejandro Aravena, il curatore cileno della quindicesima Biennale che ora apre i battenti nei Giardini e all’Arsenale. Sono tanti e abbracciano ambiti diversi e diverse scale, diversi continenti, toccano anche l’Italia, con l’architettura che resta architettura («L’architettura è occuparsi di dare forma ai luoghi in cui viviamo », si legge nella prima sala del padiglione centrale ai Giardini), ma mette al bando lo spettacolo di sé. L’esposizione dà concreta attuazione ai propositi di Aravena, che potevano limitarsi a essere tali o rischiare un indeterminato scivolamento verso altre discipline, dalla sociologia all’antropologia, con le quali invece l’architettura coopera, rimanendo, appunto, se stessa.

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Nella Biennale di Aravena l’architettura torna a misura d’uomo

la Repubblica 
26 maggio 2016
Natalia Aspesi

C’è un’Europa che alza i muri, ma la Germania, nel suo grandioso candido vecchio padiglione curiosamente a forma di moschea ai Giardini, li abbatte, aprendo grandi varchi che danno su rovi scomposti e sulla laguna argentata. Simbolicamente, su un mare da attraversare e una terra ostile da superare. Alla fine di novembre, le 48 tonnellate di mattoni rimossi torneranno al loro posto. 

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